Il termine malattie autoinfiammatorie comprende un gruppo, in continua espansione, di patologie rare, caratterizzate da episodi ricorrenti di infiammazione sistemica, in assenza di trigger infettivi, in cui un ruolo cruciale è svolto dalle citochine (le molecole infiammatorie) prodotte dalle cellule dell’immunità innata. A differenza delle più note malattie autoimmuni, nelle patologie autoinfiammatorie le cellule dell’immunità adattativa (linfociti B e T) svolgono quindi un ruolo minore, come testimoniano l’assenza di linfociti T reattivi e di autoanticorpi nonché la mancata associazione con gli antigeni HLA di classe II, sebbene le più recenti scoperte in questo campo rendano tale assioma non più del tutto corretto. Nella maggior parte dei casi l’iperattività dell’immunità innata che caratterizza tali patologie è secondaria a mutazione di geni che codificano proteine, cruciali nella regolazione della risposta infiammatoria, inserite in una piattaforma multiproteica intracitoplasmatica chiamata inflammasoma.
Il panorama delle malattie autoinfiammatorie è divenuto nel corso degli anni sempre più variegato e complesso. Pertanto attualmente appartengono a questo gruppo alcune condizioni monogeniche, quali le febbri periodiche e i disordini piogenici, ma anche condizioni di più recente identificazione in cui non è coinvolto l’inflammosoma, come le interferonopatie. Si è reso inoltre sempre più evidente negli ultimi anni come i meccanismi in grado di avviare e mantenere la risposta infiammatoria nelle forme di malattia autoinfiammatoria monogenica siano spesso gli stessi di altre condizioni, note come malattie autoinfiammatorie multifattoriali, tra le quali l’artrite idiopatica giovanile sistemica, la linfoistiocitosi emofagocitica, l’osteomielite cronica ricorrente multifocale nell’infanzia o la gotta e il morbo di Still nell’adulto.
Innumerevoli sono stati negli ultimi anni i tentativi di classificare le malattie autoinfiammatorie basandosi talora sul nome dello scienziato che le ha scoperte o sulla regione geografica in cui per la prima volta sono state identificate, talaltra sui dati di laboratorio o sul meccanismo patogenetico. In questo lavoro ho tentato di classificare tali patologie dividendole in gruppi sulla base dell’elemento a mio parere più caratterizzante di ciascun gruppo: la presenza di febbre, rash, coivolgimento simultaneo di osso e cute, artrite ricorrente (Tab. I). Lo scopo di questo lavoro non è infatti quello di fornire una dettagliata descrizione dei meccanismi patogenetici alla base delle singole malattie o quello di fornire algoritmi di diagnosi differenziale, temi che richiederebbero un ben più ampia trattazione, quanto quello di fornire a tutti coloro che si trovano a gestire la quotidianità nel proprio ambulatorio pediatrico, gli elementi per poter riconoscere tali patologie, distinguendole dalle più comuni forme infettive assai diffuse in età pediatrica, poterle sospettare e di conseguenza poter giungere a una diagnosi precoce evitando i ritardi diagnostici che hanno fino a pochi anni orsono caratterizzato tali patologie. Una diagnosi precoce consente infatti di instaurare quanto prima un’adeguata terapia, consente quindi di migliorare la qualità di vita dei pazienti e di ridurre il rischio di complicanze a lungo termine.