Riceviamo e accogliamo la richiesta di pubblicazione della petizione lanciata da un gruppo di giovani Pediatri, in risposta alla proposta del Presidente della SIP per risolvere la carenza di Pediatri
Egr. Dott. Villani,
siamo un gruppo di giovani pediatri e specializzandi in Pediatria che leggono con disappunto e preoccupazione il suo editoriale “Dalla crisi alle opportunità” sul numero 1/2018 della rivista “Pediatria Magazine”.
Rimaniamo perplessi davanti alla soluzione da proporre al governo che sembrerebbe favorire la “assunzione coatta” di giovani pediatri in ospedale e la contestuale “promozione” di pediatri “maturi” da trasferire dall’ospedale al territorio.
Ci chiediamo quindi che fine faranno i tanti giovani medici che hanno già scelto di percorrere la carriera di Pediatra del territorio e che per diversi anni hanno svolto – e svolgono ancora – l’attività di sostituto?
Questi giovani pediatri in attesa di convenzione – e dalla carriera in bilico – si vedrebbero scavalcare dai “maturi” ospedalieri?
La SIP è una società scientifica o un sindacato che tende a favorire o privilegiare – in piena gerontocrazia – solo una componente tra quelle rappresentate tra i suoi iscritti?
E come si prospetta il futuro per gli attuali specializzandi in pediatria? Nel “doveroso e necessario riassetto della assistenza pediatrica in Italia” vuole forse proporre una specie di ferma obbligatoria (5-7-10 anni?!?) in un qualsiasi ospedale italiano dopo la specializzazione prima di poter far altro?
Ci auguriamo che tali affermazioni e prospettive non rappresentino posizioni ufficiali della Società Italiana di Pediatria, ma Sue personali.
Comprendiamo che il suo pensiero, da ospedaliero, sia fondato sul fatto che un pediatra ospedaliero sia assolutamente in grado di essere un perfetto pediatra del territorio, ma la realtà è ben diversa.
La realtà è quella più volte evidenziata dagli specializzandi delle poche università virtuose che – facendo proprie le indicazioni degli ordinamenti didattici nazionali – hanno concesso la frequenza degli ambulatori di Pediatri di famiglia e delle strutture territoriali distrettuali delle ASL, dove il pediatra in formazione ha potuto recepire le competenze professionali specifiche della pediatria del territorio, del tutto assenti nella formazione e nella expertise ospedaliera e accademica.
Ci piacerebbe quindi sapere quali sono le sue fonti quando afferma che “il medico ospedaliero che, dopo anni di Ospedale, diviene Pediatra di famiglia, ha sempre eccellenti e rapidi risultati nel territorio in cui giunge ad esercitare”?
Pensiamo di poter affermare con orgoglio che nel momento in cui un giovane pediatra prende la convenzione i risultati sono molto più che eccellenti e tangibili.
D’altronde non è difficile immaginare come una Pediatria di famiglia giovane, attiva, moderna – possa limitare di molto i ricoveri ospedalieri e quindi la spesa sanitaria, rispetto ad una pediatria – sì “matura” – ma stanca e annoiata, e abituata al “fare ospedaliero”.
A nostro giudizio, sono altre le proposte che devono essere portate alla attenzione della politica da parte di una Società Scientifica.
Ci piacerebbe leggere di una sua posizione che riporti alla necessaria chiusura di piccoli ospedali dove spesso il numero di posti letto è inferiore a quello dei medici, dove in numero di nati/assistiti è al di sotto degli standard di qualità e sicurezza e dove l’indice di ricoveri giudicati impropri non sia a doppia cifra.
Gli accorpamenti, l’implementazione di progetti di integrazione ospedale-territorio, la liberalizzazione del lavoro e l’abolizione di incompatibilità, insieme ovviamente all’aumento delle borse di specialità, probabilmente sono la soluzione migliore che tutela veramente il bambino nel caso in cui avesse bisogno di cure ospedaliere e lascia al giovane pediatra la facoltà, dopo anni di studi, di scegliere liberamente tra quelle che sono le varie opportunità di lavoro nel rispetto delle aspirazioni per le quali ha scelto di fare il Pediatra sottoponendosi a tanti sacrifici.
Con cordialità