Pur essendo disponibili linee guida nazionali e internazionali sulla gestione della febbre in età pediatrica e adolescenziale, persistono alcune pratiche inappropriate sia da parte dei genitori e di chi si occupa del bambino (caregivers) sia da parte degli operatori sanitari sia dei farmacisti. Lo sforzo di gestire la febbre con il preminente obbiettivo di riportare il bambino a una condizione di normotermia può condurre alla scelta di farmaci inappropriati per la gestione del sintomo, come i cortisonici, oppure alla combinazione od alternanza di trattamenti antipiretici non necessari. Da oltre 35 anni si è diffuso il concetto di fever-phobia per descrivere l’ansia nei confronti della febbre che in parte è causata dalla sovrabbondante e persistente diffusione, aumentata anche dall’utilizzo dei social media, di informazioni non basate su evidenze scientifiche. È sempre importante, quindi, che il Pediatra continui a fornire un’adeguata informazione ai genitori per valutare la comparsa di segni e sintomi di un’eventuale patologia severa sottostante e per indagare lo stato di malessere del bambino piuttosto che concentrarsi solo sul grado della temperatura.
Le linee guida, infatti, suggeriscono di trattare il paziente febbrile soltanto in caso di discomfort (malessere); tuttavia, non essendo presente in letteratura una definizione chiara e univoca di discomfort, l’approccio al paziente febbrile si è sempre concentrato principalmente sull’abbassamento della temperatura corporea.
Ecco perché un chiarimento delle dimensioni del disagio del bambino febbrile e degli strumenti utili a valutarlo aiuterebbe a rendere operativa la raccomandazione secondo la quale è opportuno che sia il malessere associato alla febbre a guidare la necessità di un trattamento con antipiretico.